O2 = 20.84% | PPO2 = 159 mmHg |
N2 = 78.62% | PPN2 = 597 mmHg |
O2 =19.61% | PPO2 = 149 mmHg |
N2 = 74.1 % | PPN2 = 563 mmHg |
H2O = 6.2% | PPH2O = 47 mmHg |
Tutti questi dati ovviamente variano da persona a persona e possono essere calcolati con precisione sottoponendosi a una prova spirometrica. Tuttavia, nonostante abbia trovato cifre che variano leggermente in base alle fonti, per i nostri scopi possiamo stimare che a livello alveolare la concentrazione di ossigeno cala fino ad avere una PPO2 di 100 mmHg equivalente al 13.2%. Inoltre negli alveoli abbiamo anche un’alta concentrazione di anidride carbonica proveniente dal sangue venoso. Quindi l’aria alveolare è così composta:
O2 = 13.2% | PPO2 = 100 mmHg |
N2 = 74.1% | PPN2 = 563 mmHg |
CO2 = 5.3% | PPCO2 = 40 mmHg |
H2O = 6.2% | PPH2O = 47 mmHg |
IL GRADIENTE ALVEOLO-ARTERIOSO
Adesso che abbiamo un’idea migliore di come respiriamo il passo successivo è capire come l’ossigeno viene ceduto al sangue. Signori e signore vi presento il gradiente alveolo arterioso!! anche conosciuto come gradiente A-a (dove A= Alveolo e a= arteria).
Dovremmo già sapere tutti cosa sia un gradiente, ma nello specifico il gradiente alveolo arterioso è la misura della differenza tra la concentrazione di ossigeno alveolare e quella arteriosa ed è espresso in mmHg. (se vi stavate chiedendo perché tutte le misure fino ad ora erano espresse in mmHg questo è il motivo, ma anche perché bar li usano tutti e io volevo fare lo sborone!!)
In un sistema perfetto, non esisterebbe alcun gradiente A-a. L’ossigeno si diffonderebbe e si equalizzerebbe attraverso la membrana capillare e le pressioni nel sistema arterioso e negli alveoli sarebbero uguali (risultando in un gradiente pari a zero).
Tuttavia, anche se la pressione parziale dell’ossigeno è quasi equilibrata tra i capillari polmonari e il gas alveolare, questo equilibrio non viene mantenuto mentre il sangue viaggia ulteriormente attraverso la circolazione polmonare. Di regola, anche in una persona sana con ventilazione e perfusione normali, la ppo2 alveolare è sempre maggiore di quella arteriosa di almeno 5-10 mmHg. Ovviamente al calare della ppo2 nell aria cala anche la ppo2 del sangue arterioso ma sempre mantenendo lo stesso gradiente alveolare.
Come sempre la vecchiaia non aiuta, ça va sans dire. Col passare degli anni il gradiente tende ad aumentare, per fare una stima si usa questa formula:
[età in anni / 4] + 4
Io sono a 12.25 mmHg, vediamo chi ce l’ha più… piccolo 😉😉
Oppure se volete proprio essere precisi andate qui.
Quindi per ricapitolare, l’ossigeno passa dagli alveoli al sangue arterioso per via della differenza di pressione parziale, da dove ce n’è di più va a dove ce n’è di meno
cercando di equilibrarsi. Questo ci porta al prossimo passo.
PRESSIONE PARZIALE ARTERIOSA E OSSIGENO RICHIESTO DAI VARI TESSUTI
Stabilito il livello di ossigeno nei polmoni e il gradiente A-a possiamo grossolanamente calcolare la pressione parziale arteriosa. Nel mio caso:
100 mmHg (ppo2 alveolare) – 12.25 mmHg (gradiente A-a) = 87.75 mmHg
In realtà, siccome sappiamo bene che non siamo tutti uguali, questo risulta essere un calcolo molto grossolano. Per sapere con esattezza la pressione parziale arteriosa bisogna ricorrere all’ emogasanalisi arteriosa (EGA). Questo esame viene svolto prelevando del sangue a livello arterioso che poi verrà analizzato per ricavare vari dati tra i quali proprio la ppo2 e la ppco2.
Valori normali della PPO2 arteriosa:
Età in anni | mmHg media (minima e massima) |
20-29 | 94 (84-104) |
30-39 | 91 (81-101) |
40-49 | 88 (78-98) |
50-59 | 84 (74-94) |
60-69 | 81 (71-91) |
Adesso, quello che ci serve sapere per capire quale sia il limite minimo di ossigeno che possiamo permetterci nella nostra miscela, è il fabbisogno degli organi e tessuti più importanti del nostro corpo. Questo varia a seconda delle condizioni e dalle richieste metaboliche di ogni tessuto.
Cervello
È stato scoperto che la pressione parziale richiesta dal cervello varia a seconda di vari fattori tra i quali esercizio e stress. In generale, considerando che siamo in costante attività, i dati disponibili suggeriscono che il cervello richiede una ppo2 di almeno 30 mm Hg, al di sotto le funzioni mentali vengono influenzate perché il metabolismo aerobico del glucosio per la produzione di energia non può avvenire in modo efficiente. Anche se il cervello non è l’organo che consuma più ossigeno in assoluto è quello che ne avverte la mancanza più velocemente. Per capirci se l’intestino ha una carenza di ossigeno limitata nel tempo non ci saranno grossi problemi ma se il cervello ed il sistema nervoso hanno una carenza anche di pochi minuti “va tutto in vacca…”
Muscoli
la richiesta di ossigeno da parte dei muscoli è molto variabile a seconda dell’intensità e della durata dell’attività svolta. I muscoli sono uno dei tessuti più adattabili all’ipossia e in media le pressioni parziali sono comprese tra 10 e 31 mmHg.
Pelle
La pelle è uno dei tessuti più vascolarizzati del corpo. A riposo e in condizioni termiche ottimali meno del 2% della gittata cardiaca va alla pelle, tuttavia questo tessuto reagisce molto a cambiamenti metabolici e di temperatura. La richiesta di ossigeno cambia anche dai vari strati di pelle, la regione superficiale richiede in media pressioni parziali di ossigeno tra i 5 e 11 mmHg. Lo strato intermedio tipicamente richiede una ppo2 di 18-30 mmHg mentre lo strato sotto il grasso sottocutaneo necessita della pressione parziale di circa 27-38 mmHg.
Intestino
L’intestino risulta essere uno degli organi con la richiesta di ossigeno più alta. Questo non stupisce considerando il continuo lavoro di digestione e le dimensioni di questo organo (intestino tenue e crasso sommati sono lunghi circa 8 metri). I dati a disposizione indicano che l’intestino tenue richiede una ppo2 media di 62 mmHg mentre l’intestino crasso ha una necessità media di 57 mmHg.
Reni
I reni costituiscono un altro sistema di organi che a causa dell’alto fabbisogno energetico necessitano di un’alta ppo2 per funzionare al meglio. Come tale, la pressione parziale dell’ossigeno richiesta varia tra 52 e 72 mmHg.
Fegato
Le pressioni parziali dell’ossigeno nel fegato sono state studiate con risultati alquanto variabili a seconda del metodo di misurazione usato. Il fegato è un organo molto ossigenato se si considera che richiede il 6% della gittata cardiaca. Tuttavia in determinate situazioni di emergenza il fegato può sopravvivere con meno del 60% del totale della sua scorta di sangue risultando in una importante riduzione di ppo2. In circostanze normali i dati raccolti indicano che la ppo2 varia tra 34 e 42 mmHg. Certo che però ragazzi per avere circostanze normali bisognerebbe smettere di bere… 😂😂
Durante il processo di consumo di ossigeno da parte di vari tessuti, il contenuto di ossigeno nel sangue scende in modo tale che i 100 mmHg nel sangue arterioso diminuiscono a 40 mmHg nel sangue venoso.
Quello che a noi interessa maggiormente capire è l’ipossiemia dato che è proprio questa che per prima si presenta nel momento in cui respiriamo una frazione troppo bassa di ossigeno. Come abbiamo già visto i valori normali di ppo2 nel sangue variano di molto in base all’età (più alti nei giovani, più bassi nell’anziano), ma normalmente si attestano tra gli 80 ed i 100 mmHg. L’ipossiemia si verifica quando la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso è inferiore a 80 mmHg. Una ppo2 compresa tra 80 e 60 mmHg rivela una ipossia lieve, quando scende tra 60 e 40 mmHg indica una ipossiemia moderata, mentre quando scende sotto ai 40 mmHg si parla di ipossiemia grave. Per misurare il grado di ipossiemia si può anche ricorrere alla % di saturazione emoglobinica arteriosa. In parole povere si va a misurare quanto è satura l’emoglobina nel sangue arterioso da 1 a 100. In questo caso il valore ottimale per una persona sana è tra 95% e 99%, mediamente intorno a 97%. (Per gli anziani anche valori intorno al 93% sono normali). Valori compresi tra 90 e 95% indicano una parziale assenza dell’ossigeno mentre valori al di sotto del 90% non sono fisiologici ed indicano grave ipossia. Notare che anche un valore di 100% non è normale a meno che la persona non stia respirando aria arricchita o ossigeno puro. Ovviamente, i valori di saturazione sono correlati a quelli ppo2. Ad esempio, un valore del 90% (che abbiamo visto essere pericoloso) si correla ad una ppo2 inferiore a 60mmHg.
Per ricapitolare:
Ppo2 in mmHg | % | Grado ipossiemia |
80 – 100 | 95 – 99 | Valore biologico |
60 – 80 | 90 – 95 | lieve |
40 – 60 | 90 | moderata |
< 40 | < 90 | grave |
Si potrebbe parlare anche di anossiemia e anossia che rispettivamente indicano una grave carenza o totale mancanza di ossigeno nel sangue la prima, e una grave carenza o totale mancanza di ossigeno nei tessuti la seconda. Per quel che ci riguarda però, queste ultime due oggi non le trattiamo, semplicemente perché se arriviamo a quel punto vuol dire che…
Non in senso figurato ma molto letterale!!!!
CAPACITÀ DI ADATTAMENTO, POSSIAMO ADATTARCI A BASSI LIVELLI DI OSSIGENO? Cambiamenti nella pressione ambientale provocano un cambiamento nell’ossigeno disponibile per la diffusione nel corpo. Come abbiamo già detto, a livello del mare, la pressione atmosferica è di 760 mmHg. Tuttavia, con l’aumentare dell’altitudine, la pressione atmosferica diminuisce (equivalente a respirare una miscela ipossica a livello del mare). in cima al monte Everest , per esempio, la pressione atmosferica è di soli 253 mmHg, il che significa che la pressione parziale dell’ossigeno è di circa 53 mmHg (equivalente a 0.07 bar) rispetto ai 159 mmHg a livello del mare. Il limite massimo al quale l’uomo può adattarsi e mantenere la vita in maniera permanente è considerato di circa 5300m. Al di sopra di questa quota anche facendo delle soste di acclimatamento il corpo umano decadrebbe lentamente. A 5300 metri la pressione atmosferica è di 382.53 mmHg il che fisserebbe la ppo2 a 0.107 bar (10.7%)Quindi ecco la risposta, alla mia domanda quanto ossigeno è troppo poco?
Tutto sopra la ppo2 di 0.11 va alla grande … Poi però ho pensato: perché fermarsi qui? Alla fine noi divers non dobbiamo vivere a lungo a basse ppo2 quindi, possiamo adattarci a livelli inferiori?
Facendo periodi di acclimatamento che vanno da alcuni giorni fino a diversi mesi gli alpinisti riescono a vivere per periodi anche abbastanza lunghi ad altitudini molto superiori fino a superare gli 8000m e non solo sopravvivono ma scalano, fanno nodi, comunicano con il campo base, si fanno i selfie quando arrivano in cima … (si anche loro sono come noi, se sei un sub e non hai il profilo di Facebook con la foto da sub non sei un sub!!)
Nel 2009 un team di medici ha seguito sul campo 10 alpinisti che hanno scalato l’Everest senza l’aiuto di ossigeno. Gli scienziati hanno raccolto campioni di sangue arterioso dai 10 scalatori a diverse altitudini durante l’avvicinamento e la discesa dalla vetta ed i risultati sono stati interessanti. Si è scoperto che nonostante la ppo2 nel sangue arterioso scendesse col salire di quota, la saturazione resta come o addirittura migliora rispetto al livello del mare grazie ad una maggiore concentrazione di emoglobina nel sangue, questo fino ad una quota di 7100m. (comunque bastava chiedere a Armstrong e al suo amichetto Dr. Ferrari, loro di alte concentrazioni di emoglobina nel sangue due o tre cose le sanno).
Nei quattro campioni presi a 8400m dove la pressione barometrica è di 272 mmHg, la ppo2 del sangue arterioso era in media di 24.6 mmHg con una minima di 19.1 e la massima di 29.5 (molto inferiore ai 40 mmHg indicanti ipossiemia grave). La saturazione del sangue a 8400m era del 26% inferiore rispetto a quanto registrato a 7100m. Sempre a 8400m, gli alpinisti avevano un livello di anidride carbonica molto basso pari a una ppco2 media di 13.3 mmHg con la minima di 10.3 e la massima 15.7 mmHg. (il livello normale sarebbe di circa 40 mmHg). Considerando questi dati la pressione parziale alveolare di ossigeno è stata stimata a 18.7mmHg. Il valore molto basso di anidride carbonica nel sangue è dovuto principalmente all’iperventilazione alla
quale gli alpinisti sono costretti a queste quote. L’estrema iperventilazione è infatti una delle risposte del nostro corpo quando respiriamo ppo2 molto basse, questo ci permette di avere una ppo2 alveolare discretamente alta e di conseguenza mantenere la ppo2 arteriosa sopra i limiti di pericolo.
Dati alla mano risulta quindi evidente che il corpo umano può adattarsi a pressioni parziali di ossigeno molto più basse di quelle considerate normali fino al limite estremo registrato sul monte Everest. Allora ecco la risposta alla domanda iniziale quanto ossigeno è troppo poco? 0.07 come in vetta all’Everest no?
NO! non è così, sebbene il corpo umano resiste per qualche ora a questa pressione parziale bassissima, richiede anche settimane o mesi di acclimatazione. Inoltre, come abbiamo visto, saremmo soggetti a iperventilazione e, se sicuramente gli alpinisti non se la passano bene, noi sappiamo benissimo che l’iperventilazione non è una cosa che possiamo permetterci in immersione. Per di più, un’altra ricerca sempre eseguita sugli alpinisti dimostra che a basse pressioni parziali di ossigeno come in alta quota, le funzioni del sistema nervoso centrale vengono compromesse e questo persiste anche una volta tornati a livello del mare. Notevoli anomalie della coordinazione motoria furono riscontrate per più di 12 mesi nella maggior parte dei membri della spedizione sull’Everest. Ci sono anche prove che gli alpinisti con una maggiore ventilazione polmonare in alta quota hanno il sistema nervoso maggiormente compromesso, presumibilmente a causa della più grave vasocostrizione cerebrale.
TIRIAMO LE SOMME E SPARIAMO QUATTRO CIFRE.
Dando un’occhiata al sito di DAN questo è quello che ho trovato:
“Loss of consciousness due to hypoxia is likely at a PO 2 below about 0.16.”
“Perdita di coscienza dovuta a ipossia è probabile a PO2 sotto 0.16”
E se lo dice il DAN è sicuramente vero e non c’è motivo di dubitarne. Tuttavia giusto per sfizio personale ho provato a fare quattro calcoli per una miscela con ppo2 di 0.15 basandomi su tutti i dati raccolti precedentemente.
Ho utilizzato la formula che usano i medici per calcolare la ppo2 alveolare che è la seguente:
PAO2= (P.atm – PH2O) x FIO2 – (PaCO2/RQ)
P.atm = Pressione atmosferica in mmHg (760 a livello del mare)
PH2O = Pressione parziale del vapore acqueo a 37°C (47 mmHg)
FIO2 = Frazione Inspirata di ossigeno (in questo esempio 0.15 bar)
PaCO2 = Pressione parziale dell’anidride carbonica nel sangue
RQ = Quoziente respiratorio, cioè il rapporto tra il consumo di O2 e la produzione di CO2 (fisiologicamente 0.8)
Quindi per una miscela trimix con ppo2 di 0.15 l’equazione sarebbe:
(760 – 47) x 0.15 – (40/0.8) = 56.95 mmHg
P.S. Non avendo accesso ad un laboratorio per analizzare il mio sangue ho usato un valore di anidride carbonica nel sangue normale per una persona sana (40 mmHg) e, non potendo sottopormi a spirometria per scoprire il mio valore reale ho usato il valore RQ fisiologico (0.8).
Stabilito che la ppo2 alveolare in questo esempio sarebbe 56.95 mmHg e sottraendo il mio gradiente alveolo arterioso 12.25 mmHg ( se vi ricordate io ce l’ho piccolo 😂)
56.95 – 12.25 = 44.7 mmHg
44.7 mmHg risulta essere ancora nella fascia indicante un ipossiemia moderata ma non grave, e paragonando questo dato con il fabbisogno di ossigeno dei tessuti che abbiamo scoperto prima, vediamo che siamo ancora sopra i valori minimi di molti tessuti. Specialmente prendendo in considerazione il valore minimo del cervello che di 30 mmHg.
SE AVETE LETTO TUTTO FINO A QUESTO PUNTO COMPLIMENTI, NON SO SE IO LO AVREI FATTO 😂😂. QUANDO HO INIZIATO A CERCARE LA RISPOSTA ALLA MIA DOMANDA IMMAGINAVO DI DOVER SEMPLICEMENTE LEGGERE 7-8 PAGINE ONLINE E POI RIASSUMERE TUTTO IN DUE O TRE.
A QUANTO PARE MI SBAGLIAVO!!!
[Pat]